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martedì 14 agosto 2012

"SI CHIAMAVA GESU' "


Venerdì 17 Agosto alle ore 21 presso la Corte di Palazzo Cutore in Aci Bonaccorsi (Catania), andra' in scena "Lo chiamavano Gesù", spettacolo teatral-musicale scritto da Emanuele Puglia, diretto ed interpretato dallo stesso insieme a Carmela Buffa Calleo.

 

Lo spettacolo nasce da molteplici stimoli artistici, culturali e professionali.

In sintesi, sono due le direttive principali attraverso le quali prende forma: la visione poetico-musicale, contemporanea, laica, e pur sempre rispettosa della figura di Gesù da parte di Fabrizio De Andrè e quella altrettanto poetica, spirituale ma non iconografica di un grande poeta e scrittore non cristiano ma vicino al sentimento religioso quale è Gibran Kalin Gibran.

 

L'autore ha così tratto spunto dai testi de "LA BUONA NOVELLA" (concept-album "storico" di De Andrè) e dall'idea "testimoniale" di "GESU' FIGLIO DELL'UOMO" (raccolta di poesie/monologhi, meno nota ai più, di Gibran), miscelandone, adattandone, integrandone, rispettosamente, le parole e i contenuti, creando un "oratorio" di grande suggestione e intensità emotiva.

 

La "trama" (se così la si vuol chiamare) si sviluppa attraverso le "testimonianze" circa la figura del Cristo da parte di personaggi storicamente accertati (Pilato, Caifa, il sommo sacerdote Anna) o appartenenti alla tradizione religiosa (Giuseppe, Maria, Barabba, Simone di Cirene, il "Ladrone"...) ma anche di pura fantasia dell'autore (Nathaele - un giovane coetaneo di Maria infante - Susannah - un'amica di Maria sin dall'adolescenza -, Aisha - la madre di uno dei bambini soppressi nella strage di Erode -...), i quali evocano, senza che Questi appaia mai, Gesù.

 

Figura centrale della piéce risulta Maria la cui vita viene seguita, attraverso il racconto (anche immaginario), da prima della sua nascita a dopo la morte del figlio (assecondando,orientativamente, la linea narrativa tracciata da De Andrè).

 

Dopo un preambolo con due "TESTIMONI" atemporali (schematicamente: "l'adesione" al messaggio del Nazareno e "lo scetticismo"), sulle note di "Si chiamava Gesù" (brano non contenuto ne La Buona Novella – bensì in un album precedente - ma che farà da leit motiv di tutta la piéce) i due daranno il via all'evocazione di tutta una serie di figure che si avvicenderanno sul palco incarnati dai due soli attori in scena attraverso un sapiente gioco interpretativo.

 

Incontriamo così NATHAELE (personaggio di fantasia), ancora ragazzo ai tempi in cui MARIA non era che una misteriosa bambina. Egli introduce il brano "L'infanzia di Maria", il suo ingresso al tempio, nonché la figura di GIUSEPPE e i relativi brani "Il ritorno di Giuseppe" e "Il sogno di Maria", mirabile racconto, quest'ultimo (laicissimo, al confine tra eresia e ortodossia, senza mai scadere nel blasfemo), dell'ingravidamento della fanciulla di Nazareth. Giuseppe, perplesso e smarrito dinnanzi al mistero della gravidanza di Maria e alla spiegazione che ella ne dà, accetta il suo destino ed esce di scena.

Intanto ha già fatto la sua apparizione SUSANNAH, un'immaginaria amica di Maria che ne seguirà le mosse, stupita ed ammirata, sino al termine della narrazione.

Compare anche ANNA, "nonna" di un Gesù in fasce che ci viene descritto in un breve monologo nel quale viene anche narrato l'incontro misterioso con "uomini venuti dall'oriente".

Il brano "Ave Maria", abilmente interpolato al suo interno con la parte femminile di "Khorakhanè, a forza di essere vento" (funzionale a descrivere il parto in una scena suggestiva e di grande impatto emotivo), chiude idealmente (in realtà, non v'è intervallo) la prima parte del racconto.

Irrompe sulla scena GIUDA di Kerioth che, rivolgendosi in maniera assai diretta al pubblico, pone una serie di interrogativi che lasciano nella mente di chi ascolta tanti dubbi e spunti di riflessione, oltre alla umana compassione per il personaggio qui rivalutato ed assurto al ruolo di strumento per il compimento della missione del messia.

Si entra a questo punto nel mezzo della narrazione delle ore fatali al Cristo (con una ripresa riadattata di "Si chiamava Gesù").

In rapida successione (forse il caso più emblematico di quanto possa essere suggestivo un passaggio interpretativo detto, in gergo teatrale, "a vista") appaiono PILATO con le sue perplessità, CAIFA con le sue certezze e BARABBA con i suoi rimorsi.

 

Segue un incalzante recitativo a due voci nel quale SIMONE di CIRENE e Susannah ci rendono una sorta di "cronaca in diretta" degli ultimi passi di Gesù (l'uno) e del mesto accompagnarlo della madre (l'altra). Entrambi introducono il brano "Via della croce" le cui strofe, ognuna descrittiva di uno dei gruppi che compongono il drammatico corteo, fungono da spunto perché si staglino nette le figure di GIACOMO, apostolo e "fratello" di Gesù al quale rimorde la propria vigliaccheria; MADDALENA che rievoca il suo primo incontro col Cristo e la purificazione della propria anima; ANNAH, il sommo sacerdote che ribadisce le buone motivazioni (anche politiche) che lo hanno condotto a condannare a morte quel presunto messia; AISHA, immaginaria madre di uno dei bambini sacrificati nella celebre strage degli innocenti, la quale narra di come, dopo averlo cercato per spirito di vendetta, avendo incontrato Gesù ne diviene seguace ma nel momento in cui egli si lascia ammazzare senza reagire torna ad odiarlo perché sente di perdere nuovamente il proprio figliolo... infine un "ladrone" che, man mano, intuiremo essere colui il quale, nell'iconografa tradizionale, è ricordato come il "buon ladrone". Nella trama suggerita da De Andrè egli, in realtà, è semplicemente TITO che ci darà la propria interpretazione dei Dieci Comandamenti attraverso la celeberrima "Il testamento di Tito", cantata/recitata in sala all'attonito pubblico.

 

Il monologo di Tito, che si chiude con una suggestiva e drammatica "crocifissione" in mezzo agli spettatori, viene inframezzato dalla canzone "Tre madri", un ipotetico e struggete colloquio tra le madri dei ladroni e Maria ai piedi delle croci. Fa così la sua comparsa l'ennesimo personaggio femminile a tinte forti, la MADRE di TITO la quale riaccompagnerà, al termine di questa intensa sequenza, il proprio figlio al suo destino. È questo un altro dei momenti forti dello spettacolo: l'ultimo abbraccio a ricomporre la croce tra la madre straziata e il figlio morente e consapevole.

Sono passati dei mesi e Susannah racconta di come Maria stia metabolizzando la dolorosa sequenza di avvenimenti... va a trovarla e Maria le svela l'ineluttabilità di quanto accaduto... parlando, evoca ancora una volta GESU' che, finalmente, senza pronunciare una sillaba, appare per andare a comporre tra le braccia della madre (la quale termina il proprio racconto cantando, a voce nuda, come una dolente e presaga ninna nanna, l'ultima strofa di "Si chiamava Gesù") un quadro di luminosa "Pietà"!

 

Il risultato è una bella prova d'attore (i due interpreti, sempre in scena, affrontano tutti i personaggi con la recitazione e il canto in una estremamente impegnativa carrellata d'emozioni).

Al di là dell'intrinseco valore artistico, lo spettacolo ha come finalità anche l'invito a considerare le figure della tradizione cristiana (Gesù e Maria, in testa) come esseri umani
con passioni, emozioni, reazioni di tutti gli uomini d'ogni tempo e d'ogni luogo. 
Il tentativo è anche quello di far riflettere sui legittimi dubbi che pone la figura del Cristo e sul suo messaggio (troppo spesso frainteso e abusato) che travalica ogni appartenenza culturale, geografica o fideistica.
E questo tentativo è tanto più evidente se si considerano le diversità culturali dalle quali prende spunto la messinscena.

Uno spettacolo davvero valido, che sarebbe davvero un "peccato" perdere!

 

 

 

Ideato e scritto da Emanuele Puglia

Con brani tratti da "LA BUONA NOVELLA" di Fabrizio De Andrè

Liberamente ispirato da "GESU' FIGLIO DELL'UOMO" di Gibran Kalin Gibran

Con CARMELA BUFFA CALLEO ed EMANUELE PUGLIA

Musiche di Fabrizio De Andrè

Arrangiate e rielaborate da Gianluca Cucchiara

Scene e Costumi di Giuseppe Andolfo

Regia dell'Autore


Gianpaolo Costantino

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